The impact of COVID 19 on adolescents in Italy: what do we know?
The effects of COVID 19 on the new generations have shed light on different aspects that at various levels impact adolescence.
On the one hand, the impact of Coronavirus as an unpredictable event in life, has contributed to trigger anxieties that have nothing to do with the fears that are usually linked to a phase of life which is characterized by important changes. In fact, there are numerous alarms and expressions of concern about the effects of the pandemic on adolescents. The findings that have been reported so far point to a greater psychological suffering that seems to manifest itself – it seems because the epidemiological data on the impact of COVID on mental health are very scarce – with an increase of expressive symptoms (impulsive acts, hyperactivity, oppositional behaviors, violence), or with a sort of accentuated social withdrawal; sleep disorders, mood disorders, obsessive-compulsive disorders, or even eating disorders and including even depressive thoughts and derealization‐like phenomena.
On the other hand, the pandemic has modified family dynamics: parents who are more present, perhaps more fragile but more attentive have reported problems in their adolescent sons and daughters and sought professional help. It is difficult to grasp to what extent these alarms, these sufferings, these requests for help, can be linked to a different contact between parents and children, as an effect of the extended cohabitation in which, not only the spaces for socialization with peers have been lacking in the case of the adolescents but, also, the spaces for intimacy. In fact, there is a widespread impression that such a constant parent-child interaction has amplified tensions and worries on the side of parents, who are often not used to interacting with the peculiarities of adolescent behavior on a daily basis.
Undoubtedly, there is a tendency towards social withdrawal, which appears widespread, especially after the period of lockdown or strong limitation of contacts linked to the health emergency. As a result, this may well result in adolescents experiencing a regressive process of “infantilization”, with an interruption of the processes of autonomy and emancipation from parental figures and, instead, a return to a more “filial” condition associated with an increase in anxiety disorders and changes in the behaviors that are typical of adolescence (the search for risk, the discovery of sexuality, etc.. ), and difficulties in developing their own identity.
However, is it certain that these signs are entirely interpretable as an effect of the pandemic and the consequent strong compression of opportunities to relate with peers? Can they instead indicate that a “twisting” process of adolescence was already underway, the effects of which appeared more evident due to the impact of the global emergency on everyone’s lives?
The alarming data currently coming from pediatric hospitals about the significant increase in admissions for self-harming acts and attempted suicides, as a result of the pandemic[1], often fail to mention that an increase in these phenomena has been recorded for years[2] .
Similarly, already the sociological analyses of digital natives, highlighted the greater tendency of adolescents to stay at home and go out with their parents and a concomitant loss of interest towards sexuality, due to an eroticism today hyperstimulated through the digital, which leaves no room for imagination and desire for real contact.
It is certainly true that the impoverishment of social contacts with peers is an issue that has been discussed in Italy for some time, with reference, for example, to the fact that minors do not experience peer relationships not mediated by adults until they are 14. The impact of this (and other factors) on children’s wellbeing, even more following the restrictions to social interactions brought forward by the pandemic, has perhaps not received adequate attention.
We believe that all of these elements must be read comprehensively to capture the meaning of the changes that COVID 19 brought to light. There is a lack of empirical data and in-depth discussion among professionals in clinical and educational settings. Certainly, if these signs of discomfort had already been detected among adolescences, one wonders why they were not considered by those during the pandemic who made decisions that had a strong impact on children and young people.
NOTE
[1] Covid doubles admissions for suicide and self-harm among 15-24 year olds in 2021: at the Pediatric Hospilal Bambin Gesù in Rome https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/10/col-covid-raddoppiati-i-ricoveri-per-suicidio-e-autolesionismo-tra-15-24-anni-al-bambin-gesu-un-servizio-di-assistenza-e-prevenzione/6316855/
[2] Guidance from the Society of Child Neuropsychiatry for Psychiatric Emergency-Urgency say that emergency room admissions in minors aged 10-17 years have increased 30% in recent years, with an 8% increase in ordinary admissions (12-17 years) and the average increase in stays of 47 days
L'impatto del COVID 19 sugli adolescenti in Italia: cosa sappiamo?
Gli effetti del COVID 19 sulle nuove generazioni apre lo scenario a riflessioni su diversi aspetti che a vario livello investono la dimensione adolescenziale.
Da una parte, l’impatto dell’imprevedibile ha contribuito ad evidenziare le angosce più profonde che nulla hanno a che fare con le paure legate agli aspetti consueti di una fase della vita necessariamente caratterizzata da importanti cambiamenti. E infatti sono numerosi gli allarmi e le dichiarazioni di preoccupazione che giungono relativamente agli effetti della pandemia sugli adolescenti. I segnali che continuamente arrivano sono quelli di una maggiore sofferenza psicologica che pare esprimersi – pare perché i dati epidemiologici sono molto scarni – con un aumento dei sintomi espressivi (agiti impulsivi, iperattività, oppositività, fino agli agiti violenti di cui parla la cronaca), oppure con una sorta di accentuato ritiro sociale; ancora disturbi del sonno, del tono dell’umore, disturbi ossessivo compulsivi, o anche disturbi dell’alimentazione intesi in senso molto ampio fino a quadri depressivi e fenomeni di derealizzazione.
Dall’altra parte, la pandemia ha modificato gli assetti famigliari: genitori più presenti, forse meno forti ma più attenti hanno denunciato problematiche nei figli adolescenti e cercato aiuto professionale. È difficile cogliere in che misura questi allarmi, queste sofferenze, come queste richieste di aiuto, possano essere legate ad una diversa interazione tra genitori e figli, come effetto di una coabitazione importante nella quale non sono soltanto mancati gli spazi di socializzazione con i pari, sono mancati anche gli spazi di intimità. Si ha infatti l’impressione che un’interazione genitori-figli così costante, abbia amplificato le tensioni e gli elementi che potremmo definire di preoccupazione, da parte dei genitori, i quali spesso non sono abituati ad interagire quotidianamente con le peculiarità del comportamento adolescenziale.
Certamente, da questa dimensione di ritiro sociale, che appare diffusa, soprattutto dopo il periodo di lockdown o forte limitazione dei contatti legato all’emergenza sanitaria, deriva per gli adolescenti un processo regressivo di “infantilizzazione”, con un’interruzione nei processi di autonomia e di emancipazione dalle figure genitoriali e, invece, un ritorno ad una condizione più “filiale” non solo associata ad un aumento dei disturbi d’ansia e ad un cambiamento nei comportamenti tipici dell’età adolescenziale (la ricerca del rischio, la scoperta della sessualità, ecc.), che si evidenzia anche nella incapacità di esprimere se stessi in un sistema di pensiero autonomo.
Ma siamo certi che questi segnali siano interamente interpretabili come effetto della pandemia e della conseguente forte compressione delle opportunità di relazione con i pari? Possono invece indicare che era già in atto un processo di “pervertimento” dell’adolescenza, i cui effetti sono apparsi in modo più evidente alla fine di questo anno difficile?
I dati di allarme che attualmente provengono dagli ospedali pediatrici per il significativo aumento dei ricoveri per atti autolesionistici e tentati suicidi, per effetto della pandemia, spesso non fanno riferimento al fatto che un aumento di questi fenomeni si registra da anni[1].
Analogamente, già nelle analisi sociologiche dei nativi digitali, è apparso il tema di una maggiore tendenza degli adolescenti a stare in casa e ad uscire con i genitori e di una concomitante perdita di attenzione per i temi della sessualità, per via di un erotismo oggi iperstimolato tramite il digitale, che non lascia spazio all’immaginazione e al desiderio del contatto reale.
È certamente vero che la questione dell’impoverimento dei contatti sociali con il gruppo dei pari è un tema su cui si riflette da tempo, con riferimento, ad esempio, al fatto che i minorenni non fanno un’esperienza di relazione con i pari non mediata dagli adulti fino almeno a 14 anni. L’impatto di questo, come di altri fattori, forse è stato poco considerato.
Insomma, ritirati socialmente a causa della pandemia o assorti in nuovi modelli di comunicazione lontani dal mondo e dal controllo degli adulti?
Crediamo che tutti questi elementi vadano letti globalmente per cogliere il senso dei cambiamenti che il COVID 19 ha portato alla luce. Mancano dati empirici e una approfondita riflessione in ambito clinico e educativo. Pertanto, la nostra proposta è che si avvii in merito una riflessione che interroghi l’esperienza clinica con adolescenti relativamente a queste intuizioni, osservazioni, agli allarmi che vengono lanciati per capire se trovino o meno una conferma e se già sia possibile avanzare delle ipotesi interpretative.
Certamente se questi segnali di disagio erano già stati registrati viene da chiedersi perché non siano stati considerati da chi ha preso decisioni che hanno avuto sugli adolescenti un impatto importante in termini di salute mentale e benessere, senza considerare gli effetti cumulativi sul disagio che tali decisioni avrebbero verosimilmente provocato.
NOTE
[1] Guida della Società di Neuropsichiatria infantile per emergenza-urgenza psichiatrica dicono che gli accessi in Pronto soccorso nei minori tra i 10 e i 17 anni sono aumentati del 30% negli ultimi anni, con un +8% di ricoveri ordinari (12-17 anni) e l’incremento medio delle degenze di 47 giorni.